Sulle montagne artiche. “Il pastore d’Islanda” di G. Gunnarsson

Gunnar Gunnarsson, Il pastore d’Islanda, Iperborea, Milano, 2016 (prima edizione)

Recensione di Chiara Rantini

Il pastore d’Islanda è un racconto lungo in cui si narrano le vicende di Benedikt, un uomo di 54 anni che, ormai da 27 anni, all’inizio di ogni inverno, nel periodo dell’Avvento, lascia la costa islandese dove abita per addentrarsi sugli altopiani alla ricerca di tutte quelle pecore che, nonostante i raduni autunnali, non sono ancora scese a valle.

Benedikt è un solitario ma non un misantropo. Si rende conto di essersi indebolito con l’età e cerca un giovane successore nella missione di ritrovare le pecore perdute, ma non rima di aver compiuto quest’ultima impresa. In realtà, Benedikt non è solo: in questa avventura lo accompagnano due animali, un cane e un montone. Ciò che tiene in un legame indissolubile queste tre creature è la reciproca conoscenza e fiducia. Tutti sono sostenuti dall’idea di sacrificio, così come scrive Gunnarsson:

In un certo senso tutti gli animali sono animali da sacrificio. Ma a ben guardare non è lo stesso per ogni vita, quando si segue la retta via? E non è appunto questo il mistero dell’esistenza? Che la forza che fa crescere la vita è l’abnegazione. E una vita che non è sacrificio nel suo nucleo più profondo è arrogante e sacrilega e conduce alla morte.

Un messaggio forte ed estremo questo che ben si sposa con le descrizioni dell’ambiente naturale, aspro, ostile e tuttavia seducente. Già è scesa la prima neve e nuove tormente si apprestano a sconvolgere l’altopiano. Benedikt e i suoi fedeli animali non possono evitarle. Ed è proprio nel mezzo della tempesta, quando l’uomo è totalmente consapevole della sua piccolezza davanti all’infinita forza della natura, che nascono, in Gunnarson, le più profonde riflessioni sul senso della vita. Scrive l’autore islandese:

La terra può essere così ostile all’uomo da chiudersi completamente davanti a lui, lasciandolo in balia di sé stesso. Ma Benedikt trovò la soluzione. È questo il compito dell’uomo, forse l’unico al mondo: trovare una soluzione. Non darsi per vinto. Rivoltarsi contro il pungolo, per quanto sia tagliente, perfino contro quello della morte.

Benedikt incarna i valori di Gunnarsson, ovvero la sacralità della vita e conseguentemente il credo nella sua operatività, cioè nel suo essere parte attiva nel mondo nella ricerca di soluzioni a beneficio di tutta l’umanità. Nella sua impresa invernale, Benedikt riuscirà a salvare solo poche pecore ma questo non svilisce la validità della sua missione che deve comunque essere portata a termine, indipendentemente dai risultati. Ad essa è legato il significato della vita.

E così finì il cammino dell’Avvento. Il compito era stato portato a termine e Benedikt era tornato tra gli uomini – ancora per un po’.