Stefano Fortelli e la dark-poetry

INTERVISTA a cura di Chiara Rantini

Chi è Stefano Fortelli? Quando ha avuto inizio la passione per la scrittura e perché?

Ammesso che Stefano Fortelli esista, oggi è in larga parte la personalità che si evince dai suoi scritti.

Ho cominciato a scrivere circa sette anni fa, ma non mi sento appassionato di scrittura più di quanto mi senta appassionato di altre cose.

Sul perché abbia iniziato ci sono due fasi da considerare, quella iniziale, legata alla passione per la musica e all’idea di scrivere testi di canzoni e una seconda legata al confronto con personalità dell’ambito musicale e letterario con la conseguente consapevolezza di essere in grado di scrivere testi poetici. In seguito, non mi vergogno a dirlo, un graduale autocompiacimento mi ha portato a prendere in considerazione l’idea di pubblicare il primo libro. Da quel momento in poi, la vena creativa è stata accompagnata da un lavoro di ricerca e affinamento di uno stile che possa essere, coinvolgente, originale e al passo coi tempi.

Prima di presentare i tuoi testi, quali sono gli autori o le correnti letterarie da cui trai ispirazione?

Non ho cultura enciclopedica né sono un lettore vorace, ma avendo ben in mente l’idea di voler creare uno stile tutto mio, mi sono limitato ad approfondire alcuni dei cosiddetti poeti maledetti, con particolare riferimento ai padri del simbolismo francese della seconda metà dell’800, per poi passare alla poesia italiana del ‘900 e in particolare alle opere legate allo stile ermetico di Quasimodo, Ungaretti e Montale, nonché alla poesia sociale e di strada di Pasolini. Apprezzo inoltre la scrittura e il coraggio di Emily Dickinson.

È appena stata pubblicata la tua ultima silloge poetica. Continuità o rottura rispetto alla prima?

Continuità e affinamento

Cos’è la dark poetry e in quali aspetti pensi che la tua lirica sia espressione di questo genere di poesia?

Sebbene ritenga che ognuno sia dotato di potenzialità poetiche, esplicitate nei più svariati modi, ritengo tuttavia che manchi il coraggio, vuoi per paura, vuoi per convenzioni sociali, di affrontare temi pesanti e scomodi che riguardano da vicino ognuno. Questo reiterato lasciarli incompiuti, nell’oscurità, mi ha spinto a scriverne nel modo più diretto e doloroso. Il lettore dovrà fare i conti con i propri demoni e portarli alla luce, senza tuttavia sentirsi solo nel suo viaggio.

Nella poesia Triste, tratta dalla tua ultima raccolta Il martello nella testa, scrivi: Sono triste, sto bene. C’è qualche riferimento alla saudade portoghese, alla “malinconia” russa (tоска) o al Fernweh tedesco di romantica memoria?

Ammetto la mia ignoranza in riferimento alla malinconia russa e tedesca. Il Portogallo invece mi ha sempre affascinato, e da amante della musica, mi sento vicino ai temi del fado con la sua saudade

In un’altra poesia, tratta dalla medesima raccolta, affermi che i poeti si dissanguano a causa della loro passione e nella storia della lirica mondiale abbiamo tantissimi esempi di artisti che hanno speso e consumato tutta la loro vita per la poesia. Alludi al fatto che il poeta è spesso isolato dalla società e poco “letto” nonostante l’immane dedizione alla causa della cultura?

Certamente alludo al doloroso isolamento e il sentirsi spesso incompreso del poeta, ma anche a una sensazione psico-fisica, che si manifesta nell’atto dello scrivere, con una iniziale sensazione di straniamento, e a lirica terminata, di svuotamento…

Nella poesia Vita in pausa le figure dell’uomo e del poeta sembrano sovrapporsi. È forse questa la condizione esistenziale predominante, secondo la tua opinione?

La poesia in questione nasce dalla personale visione in bianco e nero della vita. Una visione che impedisce di vederne i colori e quindi viverla. In questo caso è evidente il sovrapporsi, e oserei dire il confondersi, dell’uomo e del poeta.

Progetti per il futuro?

Intanto mi preme ringraziare Helios Edizioni, neo costituita casa editrice, rigorosamente no eap, per la professionalità, il dinamismo, nonché la disponibilità e il rispetto dell’autore in tutte le fasi del lavoro pre e post pubblicazione.

Ho svariati progetti già terminati o da ultimare, di cui uno legato a una poesia ulteriormente edulcorata e la scrittura di un romanzo già iniziato, ma sul cui completamento prevedo tempi lunghi.

Notizie biografiche:

Stefano Fortelli, napoletano sui generis, nasce l’11 aprile del 1965 a Napoli, dove tuttora vive. L’amata città natale,

piena di energia, cultura e contraddizioni, incide profondamente sulla sua formazione caratteriale e artistica, generando l’urgenza, assecondata negli ultimi anni, di dare sfogo al suo sentire, attraverso la poesia.

Fortelli è al contempo ideatore e partecipante del duo artistico ION,

che realizza originali installazioni utilizzando antiche valvole termoioniche.

Partecipa e risulta tra i vincitori di due contest promossi

dall’Associazione Culturale Poesie Metropolitane,

presentando una poesia in italiano e una in vernacolo.

A fine 2019 pubblica il suo primo libro L’ultimo giorno (versi dell’aldilà),

una silloge poetica con la quale ottiene ottimi riscontri di critica.

A distanza di un anno pubblica il suo secondo lavoro, una raccolta

di dark poetry dal titolo Il martello nella testa.

Stefano Fortelli, Il martello nella testa, Helios ed., 2020

COCCI DI BOTTIGLIA, silloge di Benedetto Ghielmi

Benedetto Ghielmi, Cocci di bottiglia, 2000diciassette ed., 2020

Cocci di bottiglia è la prima raccolta poetica di Benedetto Ghielmi, autore molto attivo nel panorama degli scrittori emergenti.

Già dal titolo, si ha la sensazione di entrare in un mondo frantumato dove però, l’intenzione del poeta è quella di ricomporre ciò che è andato in pezzi. I cocci di bottiglia sono i frammenti del vissuto personale che si allarga a un collettivo, seguendo la caratteristica propria della poesia cioè quella di essere universale. La lettura suscita molte immagini tra cui ricorrente è quella del trovarsi in cammino, un cammino fisico ma soprattutto interiore. La ricerca di un senso in un mondo che sembra divertirsi a relativizzare tutto, rendendo instabile anche ciò che è sempre stato considerato stabile, è una costante esplicitata in alcune poesie come ad esempio, Cammino e Catarsi.

In quest’ultima poesia l’insofferenza nei confronti della condizione esistenziale sta tutta nell’immagine dei “lacci” che impediscono al poeta di essere libero:

lotto per slegarmi dai lacci della umana condizione

Il senso della catarsi è quello di un rinnovamento, una ricomposizione dei cocci “esistenziali” che passa attraverso un percorso di ricerca: una ricerca che è, essenzialmente, attesa, come Benedetto scrive nella poesia Brandelli di luce

attendo ciò che la vita mi serberà con animo sereno

ogni singolo frammento è attesa

L’autore attende che la luce possa indicare la via ma prima che questo avvenga non è possibile evitare di passare attraverso la delusione e il disappunto verso il mondo esteriore.

vogliono che scelga il tutto

(Delusione)

Non diversamente il poeta deve passare dal crogiolo del dubbio prima che possa sgomberare il campo da ogni possibile intralcio nel suo personale processo di crescita nella ricerca della verità e di avvicinamento all’Assoluto

Dondolo tra questi estremi

sussulto di vitalità

forza di incominciare la ricerca

(Dubbio)

Lo svelamento avviene nella scoperta di una verità essenziale ovvero nel fatto che già esistere, in questa vita che ci è stata data, ha un significato in sé e rimanda a qualcosa di superiore che permette l’esserci e il senso di quest’ultimo.

colui che custodisce l’essenza del tutto

(Esistere)

Chi è il poeta? Benedetto definisce sé stesso un cercatore, un esploratore, un uomo mite. Un eremita, un musicista (Essere una persona)

La sua è una poesia che guarda all’incontro con l’altro, una poesia di avvicinamento dove la ricerca del senso non è qualcosa di solipsistico ma nasce da un confronto continuo.

Al di là del mare c’è un luogo

dove desidero ardentemente incontrarti fratello

dove il mio e il tuo senso

si incontreranno comunicando serenità e pace

(Dove sta il mio oltre)

Ma la ricerca del silenzio e dell’assoluto non è un percorso senza ostacoli; dentro di sé è necessario superare una lacerazione e questo duplice aspetto si riscontra in questa poesia

cammino senza meta assaporandone il piacere

saltello arrampicandomi sui distributori della felicità

canto parole prive di apparente senso

inciampo

svengo

mi sveglio

era un sogno..

(Lacerazione)

Leggere questa silloge poetica è come percorrere un cammino: c’è la strada buona ma anche i sentieri impervi, i burroni, le discese improvvise ma ad ogni sosta, ad ogni difficoltà non viene mai meno la luce della speranza che Benedetto rende visibile nella poesia Mattina, una delle più belle di questa notevole raccolta, con la speranza in un nuovo cominciare.

A cura di Chiara Rantini

Il mattino di Caspar David Friedrich

LE POESIE DI ANDREA ASCOLESE

di Chiara Rantini

Andrea Ascolese, Poesie, I Quaderni del Battello Ebbro, Corleone, 2019

 

Andrea Ascolese è attore, cantautore, formatore in ambito teatrale. E come spesso accade in questi casi, la poesia è quasi un inevitabile approdo. s-l300

Questa raccolta di poesie apparentemente disomogenea, ha come elemento unificante il tema del viaggio. Il viaggio inteso come excursus in altri mondi, lontani geograficamente e non solo. Il richiamo al teatro greco, agli eroi omerici e ai miti ripropone un percorso in cui l’autore intende traghettare il lettore nei luoghi della poesia.

“Oltrepassare il destino” come si legge in Traversata numero 28, potrebbe essere una meta da raggiungere ma lo stesso Ascolese, privo di certezze, sembra essere alla ricerca di un diario di bordo che lo guidi verso la parola essenziale, quella che ha in sé la pluralità di sfumature.

Alcune poesie affrontano tematiche esistenziali in cui è probabile sentire un richiamo autobiografico.

40 anni e sei in fuga

da chi?

da te stesso

forse da tuo padre

dalle tue paure (…)

Così è scritto nella poesia intitolata 40. Quaranta sono gli anni, a partire dai quali, ricorrono spesso domande retrospettiva sulla vita, sul senso che ha avuto e sul quello che vorremmo attribuirle in futuro.

imagesLe poesie di Ascolese raccontano il tortuoso percorso dell’uomo nella giungla delle emozioni, dei sentimenti e delle speranze, eternamente in cammino verso una chiarificazione del sé, di un Identikit che risponda alla voce della poesia, sempre sospesa tra finzione e realtà: il teatro del mondo.

 

 

Sei tu: il vascello fantasma

sulla mareggiata collinare,

il corsaro nero (…)

pirata del tempo!

La sposa nella pioggia, una raccolta poetica di Daniele Cargnino.

Cari Lettori, oggi abbiamo incontrato Daniele Cargnino, torinese, autore della raccolta di poesie La sposa nella pioggia.

DANIELE CARGNINO, videomaker, sceneggiatore, Dj per una radio libera torinese e scrittore/poeta esordisce con la sua prima raccolta di poesie La Sposa nella pioggia (Ensemble, 2018)
“Qui ci sono tutti i miei sensi di colpa, i miei rimorsi e rimpianti, i giorni perduti e mai più ritrovati. Potete leggere queste righe come più vi piace, una frase alla volta o tutte insieme come dei racconti brevi. Si possono urlare o leggere in silenzio, respirando piano o buttando fuori l’ennesima sigaretta della giornata. In piena notte, o sotto il sole coperto di nuvole. Se passeggiate, vi consiglio di dare una lettura quando arrivate alla meta del vostro cammino oppure se siete su un treno diretto chissà dove a specchiarvi nel finestrino di un paesaggio monotono e senza vibrazioni. Questo (non) sono io, ma una piccola ombra del mondo che verrà.”

https://www.facebook.com/lasposanellapioggia/

Intervista a cura di Chiara Rantini.

  • Buongiorno, Daniele. Come nasce la raccolta poetica La sposa nella pioggia?

  • Potrebbe essere nata durante uno di quei temporali autunnali che si scatenano su Torino, la mia città. Oppure potrebbe essere nata in riva al mare un giorno di inverno. dopo avere passato ore a guardare le onde tuffarsi nell’orizzonte. O ancora potrebbe essere nata dall’incontro con una donna, in una di quelle notti con la luna coperta di nuvole e le strade deserte. Potrei continuare così per ogni poesia che scrivo. Credo non ci sia stato un momento preciso in cui mi sia detto che era ora di buttare su carta i miei pensieri. Non mi considero un poeta o uno scrittore, mi piace solo avere un foglio davanti e scrivere quello che provo, che sento, che voglio raccontare, fin da quando andavo al liceo, all’inizio scopiazzando dai miei scrittori preferiti, poi nel corso degli anni -spero- con una mia poetica più personale. Questa raccolta è quindi la somma di alcuni momenti e fasi della mia vita che uniti formano La sposa nella pioggia – una parte di ciò che sono, o potrei essere io.

  • Quale origine ha il titolo?

sposa nella pioggiaIl titolo è venuto senza pensarci troppo. Quando mi chiedono da dove derivi, immaginano tutti una figura malinconica- una donna, il giorno del suo matrimonio, sotto il diluvio, che effettivamente è un’immagine triste, ma anche molto bella e poetica. Ma non è la risposta giusta. Non sono neanche sposato. No, la raccolta si chiama così grazie a un racconto di uno dei miei scrittori preferiti, Beppe Fenoglio, vicino a me sia per motivi geografici (sono metà cuneese), sia per motivi politici. A parte questo, di Fenoglio, dei suoi temi, dei suoi partigiani non c’è traccia nelle mie poesie, solo questo titolo, quasi un tributo a lui e alla sposa sotto la pioggia del suo racconto, che vi consiglio di leggere.

  • Quali sono i poeti, antichi e moderni, che ti hanno maggiormente influenzato?

  • Bastano due nomi. Il primo è Cesare Pavese, modello inarrivabile, sospeso tra due mondi, tra la città (Torino) e la campagna (le Langhe), esattamente come me, Pavese, scrittore di libri di assoluta bellezza e autore di poesie tra le più belle di tutta la letteratura italiana e mondiale. Per me esiste Pavese e poi tutto il resto della letteratura. Non me ne vogliano gli appassionati di altri scrittori e scrittrici! Il secondo nome invece è Jack Kerouac, per me il più grande artista americano. Colui che in tutte le sue opere è riuscito a trasformare la prosa in poesia. Sulla strada, ma anche gli altri suoi libri, sono state delle vere rivelazioni e fonti di ispirazioni infinite.

  • Questa raccolta si può leggere tutta d’un fiato come un dialogo – monologo d’amore oppure frammentarla e leggerla a pezzi. Quale, tra queste, è la migliore chiave di lettura?

  • Non credo ci sia una risposta corretta o delle istruzioni su come leggere le mie poesie. Tutti e due i modi possono essere giusti, a seconda del momento in cui si sceglie di aprire il libro, dell’umore, del luogo in cui vi troviate. Mi piace l’espressione dialogo interiore con me stesso, meglio ancora una lunga sceneggiatura di un film mai girato. I complimenti più belli che mi abbiano fatto riguardo alle poesie sono di persone che si sono riconosciute in un verso, in una riga, e hanno trovato qualcosa di loro in quello che ho scritto. Penso sia molto bello che storie così personali siano arrivate anche a donne e uomini così lontani dal mio mondo e e dal mio modo di intendere la vita. Perché alla fine siamo tutti fatti di storie,no?Ognuno le può leggere nel modo che preferisce. Potete farlo quando tornate la sera a casa, quando siete innamorati o se avete appena finito di piangere per l’ennesima storia finita male e mai iniziata. Potete farlo mentre farlo mentre siete su un treno diretto chissà dove; da soli, prima di andare a dormire ascoltando la musica; dopo aver fatto l’amore, bacio dopo bacio una poesia alla volta, sottolineando i passi che vi sono piaciuti di più, spiegazzando la pagina, ridendo, fumando una sigaretta, guardando la pioggia cadere sui vetri delle finestre.

  • In questa raccolta uno dei temi ricorrenti è il senso di perdita. Che ruolo ha la poesia rispetto agli elementi dell’assenza e della distanza?

  • Si evincono così tanto questi temi? Ovviamente sì, perdita – assenza – distanza sono molto ricorrenti in quello che scrivo. La perdita di persone con cui ho condiviso molti chilometri del mio cammino e di momenti che non torneranno più. L’assenza che a volte pesa come un macigno e la distanza sia fisica che mentale, che come una bandiera divide il presente dal passato, strade che si sarebbero potute prendere se si avesse avuto il coraggio di avvicinarsi e trovare, oppure lasciare andare senza rimpianti. Il senso del vuoto. Sostituire quel vuoto a tutti i costi. Fa male se ci pensi.

  • Ha senso attribuire alla poesia il potere della cura e della protezione da una realtà troppo dura?

  • Sarebbe bello, ma no. Al massimo può aiutare – esorcizzare un momento, un episodio, a scaricare i pensieri rabbiosi, dolorosi, come una scarica di fulmini. Ma non può, e non deve essere, una cura. E’ solo scrittura, sono solo parole su un foglio, che ognuno interpreta come vuole. Servono a fissare un’emozione, a dichiararsi, a rimpiangere una cosa che non tornerà più, ma non è una cura, né la panacea di tutti i mali, di tutti i mali interiori che abbiamo. Sarebbe bello abitare o rifugiarsi in una poesia ogni volta che la realtà si fa troppo dura, ma purtroppo non funziona così.

  • I richiami al passato sono frequenti nella tua poetica. Possiamo parlare di una rievocazione del mito dell’infanzia come età felice della vita?

  • Guarda,da appassionato di Pavese potrei -anche inconsciamente – risponderti di sì. In realtà non è così. Ho avuto un’infanzia normale come tanti altri, con momenti felici e altri più tristi. Eppure più cresciamo più quella normalità ci manca. Come mai? Forse perché c’era un mondo da scoprire e non si aveva tempo per altri pensieri e responsabilità? Forse perché da bambini si pensa di avere tutto a portata di mano, basta solo allungarla? Sicuramente è un’età particolare, ma la rendiamo mitica solo quando l’abbiamo persa e cresciamo, lasciando alle spalle le emozioni che avevamo coltivato giorno dopo giorno. Credo si chiami diventare grandi. Maturi, adulti, e con più sensi di colpa e rimpianti. Penso molto al passato. Credo di essere ammalato di nostalgia. A volte sono un completo disastro, pieno di ansie, debolezze, fragilità. Sarebbero meglio mille rimorsi piuttosto che un solo rimpianto, ma non va sempre così. E allora penso al passato con tutti i suoi dubbi e le difficoltà e le contraddizioni, a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Pur essendo consapevole che quel passato non sempre è stato bello, tra incomprensioni, delusioni e fallimenti.

  • Quale è il motore della tua poesia? E che ruolo hanno la nostalgia , il rimpianto e la malinconia?

  • Fossi Bukowski ti direi l’alcool, fossi Kerouac le droghe, Neruda l’amore. Ma sono solo Daniele Cargnino, e il motore con cui scrivo non so se si può dire o se è interessante per i lettori, visto anche il prezzo della benzina! Diciamo che potrebbe essere un po’ di tutto (!!!), oppure un’idea catturata nel mezzo della giornata, un ricordo improvviso mentre osservo una donna o una nuvola, o un sogno che si arrampica sulla schiena e non si toglie più finché non ne scrivi. Non sono sicuro di ciò che si dice a proposito della tristezza, che il vento la porta via. A volte il vento non soffia e la tristezza resta, creando ferite invisibili. La nostalgia è un po’ come il passato, si infila sotto pelle e te la porti dietro ovunque tu vada. Come i profumi di cui scrive Proust, io trovo la nostalgia – e con essa i ricordi- attraverso un paesaggio visto dal treno, o immaginando un incontro con una persona amata che ho perso nel corso degli anni. I rimpianti fanno parte anch’essi della nostra vita, non penso ci sia nessuno che abbia fatto i conti con il proprio passato e sia esente da colpe e rimpianti. Ecco, io sono uno di quelli. E il risultato è questa malinconia di fondo, appena accennata eppure in superficie, che traspare a ogni sguardo, a ogni sorriso sforzato, un non riuscire a godersi le cose fino in fondo, la tristezza che sale come la marea ogni volta che i pensieri si fanno troppo rumorosi.

  • Nella tua poesia convivono cielo e terra. Quanto c’è di carnale e quanto di trascendentale?

  • Sai che non me l’aveva fatto notare nessuno? Cielo e terra, la carne e l’aria, il vento. La dolcezza, il romanticismo e il sesso che assume tanti significati, tante forme. Non saprei tracciare un confine netto alla tua domanda, sicuramente quando parlo di un bacio può essere anche solo sognato o immaginato in una delle mie tante (troppe) fantasie, ma può essere anche un bacio dato (o ricevuto) che ha lasciato dei segni tangibili sulle mie labbra, sulla mia carne. Altre poesie sono più riflessive, introspettive, e forse è lì l’elemento trascendentale di cui parli, quando rimango solo davanti allo specchio e cerco di mettere ordine nelle cose. Ciò non toglie che quando scrivo per qualcuno, ci sono elementi molto forti e passionali. Sai come funziona no? Basta avere davanti agli occhi il soggetto delle tue poesie e iniziare a scrivere con tutto l’amore di cui si è capaci. Così che la poesia, voi stessi e coloro che amate diventiate una cosa sola. A parole sono bravissimo infatti io, poi quando si tratta della parte pratica diciamo che devo ripassare ancora parecchio ahah!

  • Uno scrittore è anche un lettore. Cosa stai leggendo adesso?

  • A parte un giornale sportivo per vedere se la squadra della mia città ha comprato qualche giocatore in vista del campionato (ah, il tifo…), sto leggendo la biogafia di Carver, immenso scrittore americano di short stories e poeta meraviglioso della “quotidianità”. Ho appena finito di leggere libri sui Joy Division-la band- e Nick Cave, i racconti di Salinger e tre libri di Kerouac che mi mancavano. Prossimi credo due di Pavese trovati sulle bancarelle e Dylan Dog.

Grazie dello spazio e dell’opportunità, spero di non avevi annoiato troppo.

Un abbraccio, Daniele

Grazie Daniele di aver risposto alle nostre domande.