Come la pioggia?

C’è una bella pagina ne La mia Africa della scrittrice danese Karen Blixen, un appunto dal titolo Gli indigeni e la poesia.

«Gli indigeni, pur dotati di un forte senso del ritmo, non conoscono affatto la poesia, o almeno non la conoscevano finché non furono aperte le scuole, dove impararono gli inni. Una sera, mentre stavamo raccogliendo il granoturco e ammassando le pannocchie sui carri, cominciai per divertirmi a comporre versi in suaheli per i giovanissimi contadini indigeni. Erano versi senza senso, fatti solo per la rima: – “Ngumbe na-penda chumbe, Malaya mbaya. Wakamba na-kula mamba.” I buoi sono come il sale – le sgualdrine cattive – i Wakamba mangiano serpi. I ragazzi drizzarono subito le orecchie, venendo a farmi cerchio intorno. Intuirono immediatamente che in poesia il contenuto non conta e non stettero a chiedermi cosa significassero i miei versi; aspettavano ansiosamente la rima e, ogni volta, si mettevano a ridere. Li esortai a trovarla loro stessi, finendo le poesie cominciate da me; ma non riuscivano, o non volevano, e voltavano la testa dall’altra parte. Quando si furono abituati all’idea, cominciarono a implorarmi: “Parlami ancora. Parla come la pioggia.” Perché la poesia li facesse pensare alla pioggia, non lo so. Ma doveva essere un segno d’ammirazione, perché la pioggia, in Africa, è sempre bramata e accolta con gioia.» (Karen Blixen, La mia Africa)

Chiaramente la poesia non è soltanto rima, e neppure è necessariamente rima. Non siamo neppure del tutto convinti che “in poesia il contenuto non conta”. Ci è piaciuta però un’immagine: quelle parole accolte con gioia, come fossero pioggia sulla terra arida. Una cosa che forse la nostra civiltà dell’immagine, della televisione e delle parole a vanvera rischia di dimenticare: la parola è un dono.

La parola, il Logos degli antichi, è un dono nel suo duplice significato originario di logos-parola e logos-ragione. Dono è così la parola letteraria; dono la parola-ragione della Filosofia; dono è la Parola teologica,  e non è un caso che il termine Logos sia usato all’inizio del quarto Vangelo per indicare addirittura Dio stesso e il divino che si fa umano.

Da qui prende l’avvio questo blog, che vuole trattare di letteratura, ma anche più generalmente di filosofia e cultura: dalla convinzione non ci sia nulla di più divino, nell’uomo, se non la facoltà della parola.

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