Sono solo alcuni pensieri sparsi quelli che trascrivo in questo breve testo, nato dall’esigenza di ricordare il poeta goriziano nell’anniversario della sua morte (110 anni, 17 ottobre 1910): un poeta, per molti aspetti dimenticato, forse riscoperto solo recentemente.
Sono stata più volte nella sua Gorizia, una città che fino a non molto tempo fa, era visibilmente divisa tra due nazioni. Oggi i confini sono più fluidi ma non abbastanza le menti.
La tomba di Carlo si trova in territorio sloveno poco oltre il confine in un piccolo cimitero in stato di abbandono e difficile da individuare. Ci sono le lapidi di famiglia, in bella pietra e con grandi scritte, ma la sua è piccolissima e porta solo il suo nome e le date di nascita e morte, un cippo avvolto dall’erba circondato da due svettanti cipressi. Carlo morì suicida per troppo amore e incomprensione della vita, ma la sua poesia resta per quello che è, pura, essenziale, vera.
La poesia di Carlo Michelstaedter è una poesia di contrasti, di ombre e di luci, di morte e di vita; ad animarla contribuisce la follia veggente di un cuore giovane che non teme il martirio. Gli elementi che la compongono sono sostanza del vissuto interiore. Il dissolvimento, la nebbia, la pioggia, la luce resa incerta dall’incombere subitaneo delle tenebre, l’indifferenza e la seduzione della natura che nascono dal continuo rinovellarsi delle forme e dalla possibilità, sempre presente, di travalicare i confini angusti della prossimità e del visibile per spingersi negli spazi infiniti laddove il cielo e il mare si confondono, l’attesa priva di speranza, l’amore per la violenza degli elementi – il vento, le onde impetuose – , non sono altro che immagini di stati interiori, di profondità nascoste a cui solo la poesia può avere accesso.
Le cose ch’io vidi nel fondo del mare,
i baratri oscuri, le luci lontane
e grovigli d’alghe e creature strane,
Senia, a te sola, lo voglio narrare
(…)
Perciò se freddo e ruvido io ti sembri,
ma tu lo sai: è per vieppiù andare,
è per nutrir più vivida la fiamma,
perché un giorno rispenda nella notte,
perché possiamo un giorno fiammeggiar
liberi e uniti al porto della pace.
In Itti e Senia, Carlo quando scrive “le cose che io vidi nel fondo del mare” svela la condizione del poeta veggente: vedere in profondità, vedere dove regna la perenne oscurità eppure vederci chiaramente mentre sulla terra, alla luce del sole, tutto è confuso in un miscuglio di essenza e di apparenza. Questa è una condanna e una liberazione allo stesso tempo. Sola la parola poetica può lottare contro la nebbia della falsità ma per fare questo deve nascere dal profondo dell’anima, dagli abissi marini che il poeta incauto e coraggioso ha voluto vedere rischiando la propria vita.
Molta di questa potenza perde vigore nel suo essere trasfusa nelle parole, e tuttavia, l’anima del lettore è tutta scossa e trema perché la voce del poeta che ama la verità più della propria vita non può lasciare indifferenti.
Poesia dell’incompiuto quella di Michelstaedter, ovvero dell’uomo che scopre di essere incompiuto: la solitudine, la tristezza, la nostalgia che caratterizzano molte delle sue poesie, sono la manifestazione di tale incompiutezza.
Cade la pioggia triste senza posa
a stilla a stilla
e si dissolve. Trema
la luce di ogni cosa. Ed ogni cosa
sembra che debba
nell’ombra densa dileguare e quasi
nebbia bianchiccia perdersi e morire
mentre filtri voluttuosamente
oltre i diafani fili di pioggia
come lame di acciaio vibranti
Così l’anima mia si discolora
e si dissolve infinitamente
che fra le tenui spire
l’universo volle abbracciare
Ahi! Che svanita come nebbia bianca
nell’ombra folta della notte eterna
è la natura e l’anima smarrita
palpita e soffre orribilmente sola
sola e cerca l’oblio.
Poetica dei quattro elementi (aria, fuoco, acqua, terra), in Michelstaedter la forza della parola è fuoco, il poeta è terra che vuole liberarsi dal peso della gravità, memoria e oblio sono acqua, l’amore, che pervade l’anima infiammata, aria che sale verso un mondo nuovo e sconosciuto.
La poesia di Carlo Michelstaedter occupa un posto di assoluta originalità nel pantheon lirico nostrano, una sorta di estremo stilnovo esistenziale, nudo, privo di conforti, purissimo e sconsolato, scrive Piromalli nella sua introduzione all’opera e al pensiero dello scrittore goriziano. Originalità che probabilmente nasce dall’incontro inconscio di culture diverse in una terra di confine dove la sensibilità dell’animo si affina, camminando su una linea immaginaria tra due profondi e vasti mari esistenziali.
di Chiara Rantini
Che dire❗Quando incontri un poeta che ti ruba l’anima :
# te ne innamori perdutamente#
Grazie per avermelo fatto incontrare…..vivo di poesia viva intrisa di puro sentimento e struggente amore 💘
"Mi piace""Mi piace"
Prego! Felice che il mio breve articolo abbia fatto conoscere un autore così importante e meritevole.
"Mi piace""Mi piace"