Vederci doppio

Recensione di Chiara Rantini

Mirko Tondi, Vederci doppio, Robin edizioni, Torino, 2018

 

vederci doppioAccolgo con grandissimo entusiasmo questa nuova fatica letteraria di Mirko Tondi. Questa volta non si tratta di un romanzo ma di una raccolta di racconti molto singolare.

Quarantadue racconti divisi in blocchi e alternati da trilogie tematiche. Mirko Tondi propone al lettore qualcosa di nuovo anche nella struttura e nella fruibilità. Sì, perché, come l’autore stesso scrive nella breve prefazione, questi racconti, nati nel corso di sette anni in situazioni spesso fortuite e non proprio canoniche, andrebbero letti ovunque, in ogni luogo, anche il più bizzarro. E certo per la loro brevità e intensità si prestano bene a questo tipo di operazione. Ma pur, leggendoli singolarmente e in tempi diversi, occorre non perdere di vista il tema che li racchiude. Lo si evince chiaramente dal titolo.

“Vederci doppio” significa non considerare un unico piano della realtà.

Come gli scrittori sanno bene, quella che ci appare come l’autenticità dei fatti, di solito, è il frutto di una visione univoca. Scrivere aiuta a rendere la vista più acuta e capace di muoversi a 360 gradi. Perciò, i protagonisti dei racconti narrati in questa raccolta, in prima e in terza persona, vivono e riflettono questo sfasamento della realtà. Si presentano in un determinato modo ma potrebbero essere anche tutt’altro.

Visioni, incubi, situazioni oniriche conducono il lettore in un universo immaginario dove i confini tra la ragione e la follia vanno a braccetto. E tuttavia, per quanto in modo ironico e talvolta sarcastico, tra le pagine di questo libro si affrontano temi importanti come, ad esempio, la ricerca di una possibile convivenza pacifica (Mormorii e tenebre) o il senso di incompletezza che caratterizza l’uomo e il suo paradossale amore per questa condizione di “mancanza”.

Scrive Mirko, a tale proposito, nel racconto Caffè sul gas, uno dei più belli di questa raccolta:

Ho sempre amato i corpi imperfetti, i cieli nuvolosi, i dipinti astratti e i film col finale aperto; ho sempre amato ciò che era in divenire, la sua parvenza di sorprendente mutevolezza. Questa staticità dalle solida fondamenta invece mi blocca qua, tra i muri bianchi e vuoti di casa mia, dove avrei potuto appendere quadri e mensole, foto e poster, ma dove non ho messo niente, perché è più che mai vero che la propria casa riflette se stessi, e noi siamo incompleti, entrambi.

Atmosfere kafkiane si respirano in molti testi come, ad esempio, in Tutto si risolverà per il peggio, dove Mirko sembra divertirsi a provocare il lettore dialogando con esso su bizzarre storie a finale tragi-comico, toccando note di un sarcasmo auto-distruttivo di notevole spessore e che non può non richiamare alla mente anche altri autori della letteratura anglo-americana.

Leggendo questi racconti, spesso si ha la sensazione di trovarsi a teatro o al cinema (quello buono d’essai e un po’ d’annata) perché pare di essere spettatori di un dramma o di una commedia dove chi legge, suo malgrado, è chiamato in causa per la facilità con cui è possibile immedesimarsi in determinate situazioni. È il caso del racconto La tempestività della pioggia dove la pioggia costituisce la linea di confine tra ciò che è considerato un elemento di sicurezza (l’essere all’asciutto) e ciò che è ritenuto elemento di caos (la mancanza di visibilità). E di nuovo Tondi, con un linguaggio che abbraccia la poesia, fa risentire nell’anima la tragicità dell’esistenza, il fatto di essere casualmente da una parte della barricata piuttosto che dall’altra, all’asciutto piuttosto che sotto la pioggia, l’incertezza che caratterizza ogni nostro passo nella vita ma che tuttavia esercita una potente fascinazione a cui è impossibile sottrarsi.

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