La vita contro la morte. “Notte inquieta” di Albrecht Goes

 

di Chiara Rantini

original-f25b59ac10dmagazine-notte-inquieta-albrecth-goes-notte-inquieta-13954553-1-ita-it-notte-inquieta-jpgAlbrecht Goes, Notte inquieta, Marcos y Marcos, Milano, 2011

Questa volta non recensisco un libro fresco di stampa. Notte inquieta è stato pubblicato nel 2011 dalla casa editrice Marcos y Marcos. Ha avuto moltissime traduzioni in tutto il mondo e in Italia è arrivato tardivamente, dopo che la BBC aveva già prodotto una pellicola su di esso.

Tuttavia, sottolineata la mancanza, è bene che si parli e si scriva su questo testo.

Romanzo breve o racconto lungo, Albrecht Goes portò in stampa la Notte inquieta nel 1950, pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. La Germania era a pezzi e in molti pensarono che fosse giunto il tempo della ricostruzione piuttosto che quello della riflessione. Goes fece eccezione e in poco più di 100 pagine raccontò “in una sola notte” tutto il male e la crudeltà della follia nazista, lasciando tuttavia aperto uno spiraglio alla speranza.

Ho voluto vivere come un essere umano per qualche settimana, ecco e ora la pago così. Questo era l’inizio. Anzi: il tema. Il titolo e la firma.

Così esordisce Baranowski, uno dei protagonisti del romanzo, accusato di diserzione dagli alti ufficiali dell’esercito tedesco e per questo condannato a morte senza neanche subire un processo. Un pastore protestante, cappellano sul fronte ucraino, condivide con questo soldato le poche ore  di vita che gli restano prima dell’esecuzione. All’interno di una stanza, nel pieno della guerra, dove tutt’intorno aleggia un’atmosfera di morte, questi due uomini aprono il loro cuore confessandosi a vicenda le atrocità e l’assenza di umanità nelle loro vite. Ho voluto vivere come un essere umano è una frase che va presa alla lettera. Baranowski, e come lui tutti gli altri soldati arruolati nella Wehrmacht, non hanno vissuto come esseri umani negli anni della guerra. A dire il vero, nel caso di Baranowski, neanche prima. Nella sua vita è sempre mancato uno spazio per l’amore, la dedizione, la compassione. Baranowski trova questa dimensione soltanto nel brevissimo arco di tempo che vive da disertore. Fuggiasco, mescolato con i partigiani ucraini, non sceglie di tradire la patria per una questione politica. La sua scelta è superiore ed è di carattere etico. Ma quale era stata la “colpa” di Baranowski? Mentre era in missione, si era innamorato di una donna ucraina rimasta vedova e con un figlio piccolo. L’esperienza del dolore altrui e dell’abbandono risvegliano in lui sentimenti umani talmente forti da renderlo indifferente al pericolo. Non è la lunghezza della vita ma la qualità, lo spessore ad avere la priorità.

Il pastore protestante (alias Goes), per quanto non sia coinvolto nel reato di diserzione, sente una profonda corrispondenza con il condannato. Anche lui, quale uomo religioso, vive la schizofrenia di una vita divisa tra un codice etico e spirituale ben preciso e la realtà dei fatti. Malgrado ciò, l’incontro con l’umanità, con il calore dei sentimenti, con la fragilità e allo stesso tempo con la forza interiore insita nell’esistenza del condannato, fa di esso comunque un testimone della possibile vittoria della vita sulla morte. Il bacio del condannato e la sua ricerca della mano del pastore prima di morire sono i vessilli di questa vittoria. Goes, a tale proposito, scrive uno dei brani più belli di tutto il libro:

Con incertezza cercava la mia mano senza quel senso del tatto che hanno i ciechi. Gliela strinsi, con calma e con forza. Meglio così. Come servo del Vangelo – per questo ero stato chiamato qui – dimostrai quale fosse il mio posto: dalla parte dei vinti. La verità del Vangelo o la follia del mondo, la sua ironia e il suo furore. Testimoniai di quella realtà.

Intrecciata alla vicenda di Baranowski, vi è la storia d’amore di un ufficiale, Brentano, prossimo a raggiungere il fronte di Stalingrado. Brentano si rifugia nella camera del pastore implorandolo di permettergli di avere un incontro segreto con la fidanzata Melanie, prima della partenza. Melanie e Brentano sanno che quella notte inquieta sarà la loro ultima notte perché le probabilità di ritorno dal fronte russo sono pressoché nulle. Tuttavia, come nel caso di Baranowski, mentre fuori sta in agguato la morte, nella piccola stanza del pastore, trionfa la vita. Nel silenzio della notte, i due amanti si scambiano le ultime, sofferte parole d’amore in un crescendo che pare una melodia.

«Ancora sei ore.» E poi (una voce) ancora più sommessa: «Ancora sei attimi.» E l’altra voce (…): «Ancora sei anni.» Questa è la dolcezza dell’amore: le ore diventano anni. E questa è la saggezza dell’amore: l’attimo si fa lungo come un anno. Hanno una notte sola quei due. Ma vuol dire per sempre.

La vita dunque, sebbene per pochi attimi, dimostra di essere più forte e più vera della morte perché il tempo della vita è eterno mentre la finititudine appartiene unicamente alla morte.

Nel 1953 Albrecht Goes lasciò l’abito talare per dedicarsi interamente alla scrittura. Questo resta però il suo testo più interessante, maturo, profondo.

Buona lettura!

 

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