di Chiara Rantini
Il calcare è una roccia sedimentaria che si è formata nei millenni da fossili stratificati. È quindi una roccia che ci potrebbe narrare molte storie. Calcare è anche il titolo di un racconto di Adalbert Stifter inserito nella raccolta Bunte Steine, Pietre colorate.
Kalkstein è un testo scritto con grande maestria e credo che non esista narrazione più discreta e, allo stesso tempo, audace nell’indagare l’animo umano.
Feci una prima lettura anni fa e subito mi colpì per la sua estrema semplicità e linearità. Inizialmente, l’impressione che ebbi fu quella di un bel racconto ma niente di più. Ora, sono giunta alla terza o quarta rilettura e comincio a scoprire le stratificazioni più profonde. La trama è molto semplice. Il testo narra la storia di un uomo che, nato in una famiglia di operosi imprenditori industriali, cresce e diventa adulto seguendo la via tracciata per lui dal padre. Ha un fratello gemello che partecipa dello stesso destino seppure in modo completamente diverso. Ma questa è solo la parte iniziale del testo che guarda a ritroso nel passato del protagonista. Il nucleo del racconto invece è incentrato sulla tarda maturità e sulla vecchiaia di quest’uomo che ha scelto di vivere, contrariamente a ciò che il destino “borghese” aveva previsto per lui, in solitudine e povertà, adempiendo al ministero ecclesiale in un piccolissimo paese della Stiria circondato da una terra brulla e sterile di aridi calanchi calcarei. L’uomo nasconde un segreto che sarà rivelato solo dopo la sua morte ma non è su questo aspetto dell’intreccio che vorrei dilungarmi. Ciò che è importante e che dà senso a tutta la narrazione è quello che segna una svolta nella vita di quest’uomo.
Il parroco del Kar, così viene chiamato il protagonista , pur obbedendo ai dettami paterni, non era mai riuscito a trarre profitto né dagli studi né dall’esperienza lavorativa nell’impresa di famiglia. Studiava senza apprendere, lavorava senza comprendere il senso del proprio lavoro. Quante volte abbiamo fatto anche noi questo stesso genere di esperienza, senza riuscire però a trovare un rimedio, andando avanti per inerzia e con una buona dose di superficialità! Ma il protagonista del racconto di Stifter fa qualcosa di sorprendentemente rivoluzionario: non abbandona la casa paterna per lanciarsi in una qualche peregrinazione romantica come sarebbe facile pensare, bensì decide coraggiosamente di fare tabula rasa e di ripartire dall’inizio, dalle prime nozioni rimaste incomprese fin da bambino, e da lì ripercorrere tutto il corso degli studi quasi fosse tornato indietro di molti anni. Dopo tale svolta, il protagonista cessa di essere un individuo qualunque e diventa un uomo in cui armonicamente convivono una dimensione intellettuale e una spirituale. Diviene perciò un uomo completo e in pieno possesso del suo futuro. Del proprio avvenire vuole fare un servizio alla comunità di coloro che non hanno voce nella società, ovvero dei bambini e dei più poveri. Perciò, non per diventare ricco e potente, mette a frutto la sapienza riconquistata con coraggio e dedizione ma per essere un uomo giusto e utile al prossimo. La dignità con la quale conduce la sua misera esistenza non può lasciare indifferente il lettore. Così come la morte, che in lui non ha niente di spaventoso, tingendosi di un’aurea di mistica attesa, come un epilogo necessario e affatto doloroso.
Ricominciare da capo non ha quindi il senso di una sconfitta se questa azione è mossa dal desiderio di raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio posto in questo mondo. E dato che le letture dovrebbero sempre arricchire la nostra vita credo che questo sia l’insegnamento più importante che possiamo trarre dal racconto di Stifter; non perseguire una via che per noi resta estranea ma avere il coraggio di lasciarsi alle spalle quel poco di sicurezza che ci può dare l’abitudine per intraprendere una via autentica e significativa.
Con tale augurio, vi invito a leggere e rileggere questa grande perla della letteratura mondiale.