di Chiara Rantini
Kjell Westö, Miraggio 1938, Iperborea, Milano, 2017
Siamo nel 1938. I delicati equilibri europei stanno per crollare sotto la spinta del furore nazista. La Finlandia come altri stati del Vecchio Continente geograficamente lontani dai confini tedeschi sembra oscillare tra due posizioni opposte: da una parte una minoranza della popolazione esprime la condanna e il timore di un pericolo imminente per la pace mondiale, dall’altra parte una fetta importante della società condivide l’entusiasmo quasi estatico per la politica della “forza” teutonica come unico baluardo contro la minaccia staliniana.
Non sono passati molti anni dal tempo in cui la Finlandia era scivolata in una silenziosa guerra civile, dove la contrapposizione tra “Bianchi” conservatori sostenuti dall’aristocrazia tedesca, svedese e del Baltico e “Rossi” che credevano nella rivoluzione popolare, aveva creato una frattura nella società e determinato conseguenze molto gravi. Dopo la vittoria dei “Bianchi”, furono istituiti dei campi di prigionia per coloro che si erano schierati dalla parte “rossa” e ci vollero alcuni anni perché le persecuzioni cessassero.
Era il 1918. Vent’anni dopo Matilda, la protagonista femminile del romanzo, sconta sul proprio corpo e nella propria mente le ferite subite nei campi di prigionia. Apparentemente sembra che la vita abbia preso per lei una svolta positiva. Vive in un decoroso appartamento alla periferia di Helsinki, ha un ottimo lavoro come segretaria presso lo studio dell’avvocato Thune e nel tempo libero coltiva la passione per il cinema. Eppure continuano ad esistere delle ombre dentro di lei che si manifestano in uno sdoppiamento della personalità. Da una parte Matilda, l’ordinata e precisa segretaria, e dall’altra la signorina Milja, la giovane poco più che adolescente che aveva subito violenza nel campo di prigionia.
Ben altra è la figura dell’avvocato. Thune è sempre vissuto negli agi e la guerra civile del 1918 lo ha appena sfiorato durante i convulsi e goliardici anni di vita universitaria. A quarant’anni è ancora un irriducibile idealista, forse soltanto un po’ ingenuo. Vicende personali e storiche attraversano la vita dei protagonisti del romanzo fino a raggiungere un punto culminante in cui la speranza in un mondo migliore, il “miraggio” sognato appunto da Thune, viene totalmente a mancare. Le ombre nere della storia stanno per avere il sopravvento su tutto e il doppio omicidio-suicidio narrato nell’epilogo ne è in un certo senso il presagio.
Tra documentazione storica e romanzo psicologico-intimistico, questa unica prova letteraria di Kjell Westö tradotta in italiano conquista il lettore a poco a poco con un crescendo che riecheggia l’atmosfera irreale e decadente di una Helsinki divisa e ferita.
“Forse è uno dei difetti della realtà, questo doverla sempre ritoccare anche quando è al massimo del suo splendore. (…) Oppure il difetto non sta nella realtà ma in noi stessi. Possibile che siamo noi a non fidarci mai dell’esistenza e della tenuta della bellezza?”
“Viveva in un’epoca crudele. La minaccia di violenze e guerra era palpabile ogni giorno e si insinuava nella gente come un batterio facendo diventare grigie e malate le persone di coscienza, mentre quelle senza scrupoli prosperavano.”
“Rimase lì nella mattina di novembre gelida e trasparente come ghiaccio e pensò che il mondo che conosceva e per il quale aveva nutrito tante speranze si era dissolto nel nulla: forse non c’era mai stato?”