di Chiara Rantini
Clemens Meyer, Eravamo dei grandissimi, Keller editore, Rovereto (Tn), 2016
Per approcciarsi a questo emozionante, complesso testo di Clemens Meyer consiglio di cominciare dal titolo in lingua originale. In tedesco “Als wir träumten” si traduce con “quando sognavamo” o meglio ancora con l’espressione “quando avevamo ancora dei sogni”. E sono proprio i sogni a costituire il motore della narrazione, la linfa di cui si alimentano i personaggi. Ci sono grandi sogni che toccano la collettività e piccoli sogni che coinvolgono il singolo individuo. In questo libro li incontriamo entrambi. Il testo di Clemens Meyer, infatti, ha il merito di essere riuscito a creare un’intesa tra ciò che la macro storia produce e ciò che si genera nella vita individuale. Non a caso, la narrazione si muove su capitoli non legati temporalmente. Questo andare continuamente avanti e indietro nel tempo serve a creare nel lettore quella giusta dose di incertezza necessaria a calarsi nel caos emotivo e storico generato dalla caduta del Muro di Berlino nelle città dell’ex-DDR. Ma entriamo nello specifico. Siamo a Lipsia, periferia est della città. Un gruppo di adolescenti, totalmente inconsapevole dei cambiamenti epocali che stanno avvenendo sopra le proprie teste, affronta l‘esistenza di tutti i giorni come se fosse una guerra. I giovani si dividono in bande che si fronteggiano le une contro le altre per il controllo del territorio. Di una di queste bande fa parte il narratore, Daniel Lenz che racconta della propria vita dai momenti che seguirono il novembre del 1989 fino ai primi anni Novanta. Sono anni di grandi cambiamenti dove il venir meno di una struttura rigida e vigile quale era il sistema scolastico e sociale del regime di Honecker genera una situazione di impasse in cui, sotto la bandiera della libertà conquistata (ma forse soltanto desiderata), succede di tutto. Il tessuto sociale viene meno e in questo clima alla “Trainspotting” dove spaziano bande incontrollate di giovani teppisti, niente sembra più avere un valore se non quello dell‘amicizia e della fedeltà al gruppo di appartenenza. Daniel e i suoi amici vivono ogni giorno come se fosse l’ultimo, in uno stato di tensione costante animata da furti di auto, bevute colossali, risse sanguinose e soste nei riformatori. Ciò che colpisce è il soccombere dell’istituzione familiare (in particolare i padri che escono totalmente sconfitti dal confronto generazionale, tema assai caro alla letteratura tedesca moderna e contemporanea) e l’impotenza delle autorità (civili, ecclesiastiche e scolastiche) che intervengono solo per punire e sanzionare. Ciononostante, il romanzo di Clemens Meyer non è privo di speranza. Anzi, pare che sia proprio in mezzo alla crudeltà della vita che possano emergere iceberg di umanità. I personaggi sono degli anti-eroi che difendono i loro sogni di amore, fratellanza e lealtà contro una realtà che non comprendono e che li annienta come individui. Ed ecco quindi l’importanza del titolo. Tutti i cambiamenti generano dei sognatori perché nel passaggio a qualcosa di diverso tutti sperano di poter vedere realizzati i propri desideri. Daniel vorrebbe credere nei propri sogni di amore (nei confronti di una “pioniera”, Katja, che fugge senza preavviso all’Ovest, verso un’amica, Estrellita, che vede scivolare velocemente nella droga e nella prostituzione) ma la storia gli offre sempre il lato peggiore della realtà. E tuttavia Daniel continua a sognare e a sperare legandosi sempre di più a ciò che può dargli ancora amore, sia esso l’affetto degli amici o quello di un cane.
Da ciò pare evidente che lo scrittore voglia lasciare a noi lettori un chiaro messaggio, ovvero che non si può vivere senza il calore degli affetti e che, nella vita, c’è un’unica risposta alla durezza della realtà e un’unica via di uscita dalla spirale della violenza. L’amore.
Buona lettura!